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Tempi e Metodi di Giorgio Andreani Riorganizzazione Processi Produttivi sono le piccole cose che, nel contesto controllato, se evidenziate e gestite correttamente, portano grandi risultati . . .

L’Organizzazione

Un piccolo contributo . .  leggendo qua e là . . scritti di Maurizio Canauz

Può essere definita un Raggruppamento Sociale intenzionalmente costituito con una struttura appropriata per il raggiungimento di fini specifici, essa nasce dall’esigenza di unificare in modo coordinato i singoli sforzi al fine di raggiungere più facilmente l’obiettivo posto.

Tale struttura organizzativa è l’espressione del principio della divisione del lavoro con un elevato grado di specializzazione produttiva;

Possiamo dire che lo Stato rappresenta la principale Organizzazione, all’interno dello Stato o parallelamente, operano altre importanti organizzazioni, quali: le Scuole, i Centri di Culto ecc. ma per quanto ci interessa, soprattutto, le Imprese.

Nelle Imprese troviamo, tutti gli elementi costitutivi dell’organizzazione.

L’Impresa può anche essere definita come Raggruppamento Sociale ovvero un insieme di uomini che costituiscono l’organizzazione (a cui va poi collegato quello materiale costituito dalle macchine con cui deve essere trovato il miglior coordinamento possibile), il tutto è necessario per il perseguimento del fine, che si raggiunge attraverso una suddivisione del lavoro finalizzata appunto al perseguimento dello scopo.

Data l’importanza che le imprese hanno assunto nel corso degli anni nelle società occidentali, tanto da essere considerate da alcuni studiosi le organizzazioni fondamentali su cui si poggia l’intera società capitalistica, non sono mancati scritti che hanno focalizzato la loro attenzione su questo tipo di organizzazioni.

I primi studi sull’Organizzazione Aziendale e produttiva risalgono alla fine del settecento e soprattutto all’inizio dell’ottocento, stimolati dagli sconvolgimenti sociali legati al primo grande fenomeno dell’industrializzazione: la Rivoluzione Industriale Inglese e il suo estendersi all’Europa continentale.

Nel 1776 Adam Smith pubblica la Ricerca sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni.

In questo scritto si trova, tra l’altro, la descrizione del fortissimo miglioramento delle capacità produttive ottenuto con la scomposizione di una singola attività lavorativa in operazioni elementari affidate a differenti lavoratori.

Nel caso analizzato, la fabbricazione degli spilli, Smith ipotizzò la divisione del lavoro complessivo «in circa diciotto operazioni distinte, che in alcune fabbriche sono tutte eseguite da operai distinti, benché in altre fabbriche lo stesso uomo ne eseguirà talvolta due o tre». Tale divisione aumentava la capacità produttiva, secondo i dati raccolti, rispetto all’artigiano che fabbricava un intero spillo da solo, da 240 a 4800 volte.

La teoria venne ben presto applicata alle altre lavorazioni industriali mentre nelle piccole fabbriche tessili venivano introdotti anche i primi macchinari automatici.

Tra il 1833 ed il 1842 vennero perciò promosse vaste indagini conoscitive sulla classe dei lavoratori e sulla loro condizione di vita e iniziarono diversi studi organizzativo – produttivi.

Nel 1842 scoppiò lo sciopero generale promosso dai Cartisti (…il Cartismo fu un movimento politico-sociale, britannico…) che segna al tempo stesso il punto di massimo malcontento popolare, per le durissime condizioni di lavoro nelle fabbriche e l’inizio delle prime riforme intese a temperarle anche se, più su base locale e spontanea che su base nazionale.

Solo alcuni anni più tardi interverranno una serie di atti legislativi da parte del parlamento inglese a cominciare dalla legge che nel 1847 limitò la giornata lavorativa a 10 ore.

Più tardi, Emile Durkeim illustrò gli effetti positivi della produttività derivati dalla divisione del lavoro. Le sue ricerche evidenziarono però, in maniera assai originale, come la divisione del lavoro, quando all’interno delle imprese era spinta all’eccesso, provocasse gravi effetti patologici sui lavoratori.

In Germania, durante l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo quarto del Novecento, si condussero numerosi studi sulla grande azienda industriale, vista come la maggiore espressione economica, tecnica e sociale dei nuovi tempi, in particolare, sulla selezione, l’adattamento le condizioni di lavoro, il destino professionale dei suoi operai.

Al celebre sociologo tedesco si deve, tra l’altro un’analisi approfondita sui mezzi di difesa dei lavoratori attuati in caso di conflitto con l’azienda, compreso il fenomeno del “frenaggio”.

Tale scoperta risale al 1910 ed ebbe una vasta eco anche negli Stati Uniti dove fu ripresa negli anni trenta.

«Detto in termini molto generali – scriveva Weber – il “frenaggio” è il modo in cui un gruppo di lavoratori, consapevoli e ostinati ma in silenzio, contrattano e disputano con l’imprenditore il prezzo della propria prestazione».

La Germania rimase per molti anni ai vertici dello studio di quella che andava definendosi come “sociologia dell’ambiente” che era un sotto insieme della più ampia “sociologia dell’industria”.

Fu soprattutto l’” Institut fur Betriebssoziologie und soziale Betrieblehre (fondato nel 1928 a Berlino, pochi anni prima che la migliore sociologia tedesca fosse spazzata via dal nazismo) ad approfondire le tematiche connesse all’organizzazione del lavoro ed al suo impianto sui singoli lavoratori.

Vedremo tuttavia come questi studi sono continuati e sono proliferati negli Stati Uniti e poi gradatamente in tutte le parti del mondo.

 

Un mio piccolo contributo . . . leggendo qua e là . . . scritti di Maurizio Canauz

 

    Giorgio Andreani

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